Sicuramente la passione per la fotografia è parte integrante della mia vita.

Chi come me, nato prima degli anni 70, è stato “fulminato” da questa passione prima dell’avvento del digitale, ha mosso i primi passi nel mondo della fotografia con macchine analogiche, non proprio sofisticate. Ricordo che inizia a fotografare utilizzando una Agfamatic Pocket, ma chiedevo al mio papà di potere usare la sua Zenit EM (di costruzione sovietica), che utilizzava per le feste e per le ricorrenze, e ricordo anche l’enorme sforzo pressorio che si doveva esercitare per fare uno scatto, visto l’utilizzo di un meccanismo diretto che collegava il pulsante di scatto con il meccanismo di apertura.

Come me, tanti hanno iniziato con la macchina fotografica che aveva il papà, il nonno o lo zio, conservata in un cassetto, utilizzata raramente, perchè il costo del rullino e dello sviluppo era molto alto.

Nelle mie prime foto, per me bellissime, immortalavo tutto e credevo che tutto fosse interessante (beh, un po’ è vero che tutto è interessante, spesso basta modificare l’angolo di inquadratura e tutto cambia).

Arrivò il 1980 e per il mio compleanno e ricevetti in regalo una Contax 139 Quartz, una reflex del marchio Zeiss che pur essendo un “entry-level” aveva una dotazione tecnica di tutto rispetto. Sì, era una entry-level ma per me era l’oggetto dei desideri e un salto stratosferico verso la fotografia “vera”.

Appena compresi che era una passione molto costosa e che non potevo far spendere tanti soldi ai miei genitori, iniziai a girare con la fotocamera al collo, inquadrando, dal mirino, ciò che credevo fosse interessante e scattando solo quando ritenevo che sarebbe venuta fuori una foto bellissima.

Con il passare del tempo capii che la foto doveva essere studiata, che si doveva costruire prima nella testa e scattare solo quando l’immagine che riprendevi combaciava con la tua idea di fotografia da ottenere.

Era il momento di studiare un po’, così acquistai diversi libri/manuali di fotografia – altro che internet -, cominciai a capire che un bagaglio di conoscenze tecniche unito alla pratica fanno la differenza.

Inizialmente pensavo che bastasse guardare nel mirino della fotocamere e scattare per ottenere delle belle immagini, ma, in parte, non è proprio così. Certo, avere “L’ occhio del fotografo” è importantissimo, e non mi riferisco al libro di Michael Freeman ricco di esempi fotografici, bensì alla capacità di saper trarre degli elementi da ciò che visivamente ci circonda, comporli tra loro e creare una scena realizzando una buona composizione e quindi una bella foto.

Mi immersi, così, in un mondo sconosciuto e scoprii cosa fosse la sensibilità ISO, la profondità di campo, l’apertura del diaframma, i tempi di scatto, la lunghezza focale, l’angolo di campo, come funziona l’esposimetro e tanto altro. Ma, capii che ogni singolo scatto è frutto della concentrazione sull’inquadratura.

E allora, come fare le prove e mettere a frutto ciò che avevo studiato? Semplicemente sistemai la fotocamera sul cavalletto e inizia a fotografare oggetti come libri, frutta, ciò che vedevo dalla finestra di casa, ecc, prendendo appunti sui parametri usati per scattare, in modo da mettere a frutto la tecnica studiata sui libri.

Con il passare del tempo si matura l’esperienza, si riduce il numero di scatti e si comincia a comprendere che non tutto è bello fotografare, come ti sembrava prima, e che non tutti i soggetti sono meritevoli di attenzioni fotografiche.

Poi, arrivò la voglia di sperimentare lo sviluppo, e anche lì le difficoltà non furono poche. Certo, il primo pensiero fu che eliminado il costo dello sviluppo avrei potuto fare più scatti, credendo di dover comprare solo i rullini.

Comprai i kit di acidi per lo sviluppo, le bacinelle, la lampada rossa (indispensabile per non rischiare di bruciare le foto) e un ingranditore fotografico 35mm della Durst. Non avendo una stanza da dedicare a camera oscura e avendo la necessità di avere sempre a portata di mano dell’acqua, ogni volta che dovevo sviluppare, “usurpavo” il bagno di casa e lì costruivo la mia camera oscura.

Inizialmente i risultati furono deludenti e la spesa alta, ma poi, pian piano, arrivarono le soddisfazioni e la riduzione dei costi soprattutto perché stampavo prima i “provini” e solo dopo avere valutato la qualità degli scatti, le foto che ritenevo più belle.

Poi, visto che la passione continuava a crescere e l’attrezzatura iniziava ad essere consistente pensai di utilizzare il tutto per guadagnarci qualcosa. Così, con l’aiuto di alcuni “nuovi” amici fotografi professionisti, iniziai a fare qualche lavoretto e guadagnare qualcosa. Guadagno che prontamente spendevo per acquistare nuovo materiale o aggiornare quello che avevo.

Per le foto personali scoprii l’eccezionalità delle diapositive, che davano una maggiore qualità, un minor costo di sviluppo – anche se il rullino costava un po’ di più – ma aveva l’handicap che per vederle necessitava di un proiettore. Diapositive che erano l’incubo di parenti e amici, visto che volevo sempre far vedere loro le centinaia di diapositve scattare anche durante i viaggi.

Tanta era la voglia di raccontare la vita con la fotografia, cogliere le emozioni e fissarle su una pellicola da custodire gelosamente.

Mi cimentai nella fotografia sportiva, in quella ritrattistica, paesaggistica, nello still life, matrimoni, reportage e in tutto quello che era possibile.

Poi arrivò l’era del digitale e tutto cambiò, eccetto la tecnica. Coloro che hanno imparato a fotografare con i rullini, a mio parere, sono in un certo senso privilegiati, in quanto possono apprezzare le differenze fra i due sistemi e riescono a mettere a frutto, la propria conoscenza, con la funzione pro nel digitale.

Con le fotocamere digitali puoi fare centinaia di scatti e poi scegliere quelli migliori da inviare o sviluppare, senza alcun costo iniziale, eccetto l’acquisto e l’usura dell’attrezzatura.

Da un lato un grandissimo traguardo tecnologico – premesso che non rimpiango affatto l’analogico anche se è estremamente affascinante -, dall’altro oggi riscontro che solo poche persone cercano di studiare la tecnica fotografica. Fare una bella foto con il digitale (e trovarla tra le migliaia che si scattano) è più facile, ma coloro che approcciano alla fotografia digitale, difficilmente sono incoraggiati a capire come hanno ottenuto quel risultato e quindi anche a sapere “replicarla”.

Tutto il bagaglio acquisito di tecnica ed esperienza pratica, mi è servito anche nella professione di giornalista. Ancora oggi, con mia somma gioia, spesso, partecipo a conferenze o eventi con appresso la mia borsa fotografica con corpi, obiettivi, flash e quant’altro.

Sicuramente la passione per la fotografia continua e continua anche la voglia di studiare, migliorare le tecniche e sperimentare.

Non bisogna dimenticare che la fotografia, soprattutto quella in epoca pre-digital, ha raccontato per immagini la storia del mondo e delle persone.

Basti ricordare alcune delle foto più iconiche che hanno fatto il giro del mondo come, per citarne alcune:

  • Lunch atop a skyscraper“, 1932, di autore sconosciuto che ritrae undici operai che consumano il pranzo seduti su una trave sospesa a 250 metri d’altezza a Ney York;
  • Il marinaio che bacia un’infermiera“, 1945, di Alfred Eisenstaed, scattata a Times Square nel 1945 durante i festeggiamenti per la fine della Seconda Guerra Mondiale;
  • Il ritratto del Che” (Guevara), 1960, di Alberto Korda, scattata durante la sepoltura delle vittime dell’esplosione del Courbre; ecc…
  • Martin Luther King, 1963, di Ernest Withers scattata a Washington che ritrae il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, durante il celebre discorso cominciato con la frase “I have a dream”.

E foto drammatiche come:  

  • Il monaco che brucia, 1963, di Malcom Brown, scattata a Saigon e ritrae Il monaco buddista Thich Quang Duc che si dà fuoco per protestare contro la persecuzione dei buddist. Foto che si dice abbia contribuito ad accelerare la caduta del regime di Diệmi;
  • La bambina bruciata dal Napalm in Vietnam, 1972, di Nick Ut, che corre nella speranza di sfuggire all’attacco chimico;
  • La protesta in piazza Tienanmen, 1989, di Jeff Widener, foto divenuta il simbolo della ribellione di uno studente contro la repressione del governo cinese che, durante le manifestazioni, inviò l’esercito contro i dimostranti;
  • La morte di Aylan, 2015, di Nilüfer Demir, che ritrae un piccolo rifugiato viene trovato morto su una spiaggia turca.

Per non dimenticare la foto che è diventata simbolo dell’antimafia ma soprattutto di speranza, quella scattata nel marzo del 1992 dal fotoreporter palermitano Tony Gentile, che ritrae i due magistrati Falcone e Borsellino, durante un convegno. E fu proprio nel 1992 che Falcone e Borsellino, vennero barbaramente uccisi dalla mafia. Così come le foto di un altro importante fotoreporter palermitano, Franco Lannino, che fu il primo ad arrivare sul luogo delle stragi di Capaci e via D’Amelio e scattare le foto di quegli orribili crimini.

Il suggerimento che sento di darvi è: scattate fotografie con la fotocamera, con lo smarthphone, con il tablet, non abbiate timore se sono tecnicamente imperfette. L’importante è fissare quel momento che parla di voi, delle persone che amate, che racconta quel determinato istante che. grazie alla fotografia, non verranno mai dimenticati.

Buona luce a tutti.


“Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace; a questo punto  catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale.”

Henri Cartier-Bresson

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